Bambini, genitori e smartphone
Sesto appuntamento con la rubrica Carteggi di Psicologia: a che età è giusto dare il primo cellulare?
(AGR) Autore: Roberto Noccioli
Long Island, Stato di New York, una coppia di genitori fa causa a Meta, la società che gestisce Facebook ed Instagram, per la presunta incapacità da parte della società di verificare l’età reale dei propri iscritti, che non dovrebbe essere inferiore ai 13 anni. L’accusa portata avanti dai genitori riguarda anche la poca attenzione e il poco investimento di risorse su studi e progetti di intervento per affrontare il tema della dipendenza da piattaforme social. Alla ragazza sembrerebbero essere stati diagnosticati ansia, depressione, autolesionismo, disturbi alimentari e idee suicidarie. Un quadro complesso che la famiglia rimanda esclusivamente all’utilizzo di Instagram.
Quello che spesso vediamo è che con la prima media, i genitori tendono a dare ai loro figli il primo smartphone. I ragazzi cominciano ad uscire da soli, in alcuni casi vanno e tornano da scuola da soli e per i genitori il telefono diventa un mezzo utile per mantenere una parvenza di controllo sui propri figli. Per altri dare il cellulare vuol evitare che il figlio si isoli. Si, si isoli, perché gran parte della comunicazione tra i ragazzi passa per i social, per i messaggi sul telefono.
La scuola stessa utilizza le app di messaggistica per interagire con gli alunni e con i loro genitori. Gli esperti? Cosa ci dicono? Che l’abuso di uno strumento, qualsiasi esso sia, porta ad uno stato di dipendenza da esso. Ne possiamo uscire? Possiamo eliminare gli smartphone? Per andare in questa direzione dovremmo partire dai nostri telefoni. Si, proprio quello che stai probabilmente usando ora per leggere questo articolo. Siamo capaci di rinunciare allo smartphone? Di ridurre significativamente il suo utilizzo? Se avete provato a farlo, avrete scoperto che è complesso, troppi servizi passano per quello strumento. Se è complesso per noi, quanto può esserlo per un ragazzo di 12/13 anni che si approccia ad utilizzarlo? Riprendiamo il concetto di “responsabilità”, essere responsabile vuol dire essere capace di rispondere delle proprie azioni e dei propri comportamenti. Posso essere responsabile se ho la capacità di prevedere quello che potrebbe accadere e riesco a regolarmi di conseguenza. Sono responsabile dei miei comportamenti, ma in alcuni casi sono responsabile riguardo ai comportamenti di altri.
In quest’ottica è responsabile Meta, ma sono responsabili anche i genitori, in parte sono responsabili anche i figli (nella misura in cui sono in grado di cogliere la complessità dei comportamenti). Ora, la nostra capacità di azione riguardo all’esterno è molto limitata, possiamo muovere azioni legali, class action, ma abbiamo risultati incerti e tempi molto lunghi. Vale allora la pena concentrarsi sull’interno, su quello che possiamo fare noi e che possiamo insegnare ai nostri figli. Qualche volta ci aspettiamo da loro cose di cui noi stessi non siamo capaci. Non sto parlando del buon esempio, ma “semplicemente” di definire i nostri confini, mostrare attenzione ai nostri comportamenti ed alla coerenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo (altra cosa assai complessa). Se mettiamo delle regole, queste varranno per adulti e ragazzi. Se proseguiamo sul tema della responsabilità, la risposta alla domanda dalla quale siamo partiti: “a che età è meglio dare lo smartphone ai nostri figli” viene fuori più facilmente. Non ci dovrebbe essere un’età precisa, ogni bambino sviluppa le proprie capacità in tempi diversi e la capacità di comprendere e di discernere ciò che è pericoloso e ciò che non lo è. La responsabilità però non è qualcosa che si sviluppa da sola, è necessario aiutare i ragazzi a svilupparla. Gli strumenti di “parental control” sono sicuramente utili a verificare cosa fanno i ragazzi, i tempi di utilizzo, le app che usano, ma il controllo è uno strumento sufficiente? Il controllo, senza la capacità di ragionare, senza spiegare quali sono le motivazioni che portano a porre dei limiti ed a stare attenti a come ci si muove. Proviamo ad usare una metafora: se mio figlio di 9 anni deve attraversare il vialetto del condominio, la cosa non mi desta preoccupazione, i rischi sono quasi nulli, ma se deve attraversare una strada a scorrimento veloce senza semaforo, il rischio aumenta considerevolmente e così la mia preoccupazione che ponga attenzione alle macchine ed alla loro velocità di avvicinamento, forse non lo faccio proprio attraversare. Se voglio portarlo ad attraversare la strada a scorrimento veloce da solo, devo accompagnarlo per gradi, partiremo da strade meno trafficate verificando che colga il senso del pericolo e che metta in atto strategie autotutelanti. Non tutti i bambini apprendono alla stessa velocità, alcuni più impulsivi potrebbero tendere a prendersi un maggior margine di rischio, altri potrebbero rimanere fermi sul marciapiede senza trovare il coraggio di muoversi, altri ancora si muoveranno in maniera maggiormente ponderata. Osservare i nostri figli, aiutarli a riflettere su ciò che li spinge ad agire e sulle conseguenze delle proprie azioni, permette loro di sviluppare maggiormente un atteggiamento critico ed autoriflessivo, aiutandoli ad affrontare gli ostacoli con più attenzione ai rischi ed alle risorse possedute. Per l’utilizzo di uno smartphone personale, bisogna utilizzare la stessa attenzione, abituando i bambini a darsi delle regole, ad usare il cellulare come strumento e non come gabbia.
Ci sarà un momento in cui lo strumento sarà considerato indispensabile (come lo è per noi adulti), perché le relazioni sociali passeranno in gran parte da quello. Abituarli ed addestrarli all’utilizzo dello strumento, ponendo il nostro comportamento come elemento di esempio, li aiuterà ad essere maggiormente indipendenti da esso ed a spegnerlo quando non utile.