Red, o della pubertà delle figlie
Autore: Andrea Pompili
(AGR) Ho avuto l’occasione di vedere il film della Pixar: Red (Turning Red nel titolo originale). Nel complesso un film ampiamente godibile, ma non è una recensione quella che vorrei scrivere. È il tema che mi ha colpito, chiaramente anche per un vissuto personale: l’ingresso nella pubertà. Quel mix di cambiamenti fisici, ormonali, umorali, di relazioni e aspettative che (s)travolgono i ragazzi e le loro famiglie. In breve, la protagonista è in quella fase e tutto cambia: la bambina perfetta si trova vivere le prime passioni, pulsioni, desideri di ribellione, sentimenti di inadeguatezza e… diventa un panda rosso.
Meilin Lee, la star, dovrà trovare le nuove misure per interagire con: la mamma, carica di aspettative, ansie, paure e relazioni familiari irrisolte; la nonna, che rappresenta l’austera tradizione; le amiche, che sono quella rete sociale che le permette di compiere il passo nel mondo adulto, ma le ricordano anche quanto sia importante la lealtà; le zie, le truppe armate pronte a battersi per la famiglia; e il mondo esterno che, come tale, porta con sé timori, insidie, sfide, ma anche opportunità, divertimento e tutto il resto.
Cosa potremmo aggiungere? Non è più comodo anche per noi lasciare che questa resti una materia femminile? Possiamo cavarcela con un “chiedi alla mamma”, nessuno se ne avrà a male. Pensandoci un attimo, però, alcuni di questi temi non sono così distanti. Prime cotte adolescenziali. Quella del primo banco, la più carina… (Venditti docet). Magari potremmo raccontare a nostra figlia che se il compagno di classe le tira i capelli e poi scappa a ridere dagli amichetti dell’ultima fila, non è perché la sta prendendo in giro. Magari lui, come capitava a noi tanti anni fa, non sa come andarle a parlare. Cambiamenti fisici. Ci ricordiamo quando dovevamo fare la doccia con i compagni di squadra e qualcuno aveva sviluppato e qualcuno no?
Ecco, su questi temi potremmo scrivere un libro. Magari potremmo decidere di non condividere le nostre esperienze, ma il vissuto lo conosciamo. Aspettative sociali e familiari. Un uomo non piange. In famiglia si fa così. Alle compagne di classe piacevano Brad Pit, Bono Vox, Axl Roses, Magnum P.I., ecc. e noi dovevamo trovare il modo di dire a mamma che avevamo preso un’insufficienza. Mi sa che anche qui una certa expertise potremmo averla.
E poi siamo proprio così sicuri che sia necessaria l’esperienza in prima persona per parlare di un argomento? Il cardiologo deve aver avuto un infarto per poterne parlare? E ancora, non vale comunque quel principio per cui è il syumpathos, quel sentire insieme, a fare la differenza? Si potrebbe valutare la possibilità che il punto di vista maschile, quello del padre, possa essere un valore aggiunto? È possibile pensare che il padre, conoscendo da una dozzina di anni quell’esserino che circola per casa, possa dare qualcosa di aggiunto al punto di vista femminile. E in conclusione, se una donna può diventare Presidente della Repubblica e Diletta Leotta può parlare di fuorigioco, un maschio può parlare di mestruazioni.
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