Medicina di genere e donne medico: a UniCamillus si confrontano le massime esperte del settore
Maria Elena Boschi: “Più ruoli apicali alle donne nella sanità”; Klinger: “Solo il 26% degli odontoiatri sono donne”; Moretti e Callà: “Screening diagnostici spesso prediligono il modello maschile”; Faroni: “Che la medicina personalizzata non sia appannaggio dei ricchi”
Medicina di genere e donne medico
(AGR) “Medicina di genere e donne medico”: è stato questo il tema del quinto incontro del ciclo di convegni dell’Università UniCamillus “Orizzonti della Medicina”, e ha visto alternarsi gli interventi di relatrici impegnate in medicina, ricerca e management sanitario in chiave femminile.
Ospite d’onore dell’evento, Maria Elena Boschi, Deputata della Repubblica e Vicepresidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. L’Onorevole Boschi, introdotta dal Rettore Gianni Profita, ha fatto un breve excursus sulla nascita della medicina di genere, espressione usata per la prima volta nel 1991 dalla cardiologa Bernardine Healy, che pubblicò un articolo sul New England Journal Medicine, denunciando la discriminazione delle donne nella gestione delle patologie cardiovascolari.
Maria Elena Boschi, Deputata della Repubblica
Donne medico: numeri bassi nei ruoli importanti
Parlando di carriera in campo scientifico, il divario aumenta man mano che il ruolo si fa più preminente. «La popolazione studentesca di UniCamillus è molto equilibrata – afferma Francesca Gioia Klinger, Presidente del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria UniCamillus – ma la situazione cambia nel mondo del lavoro: in Italia solo il 26% degli odontoiatri sono donne».
La situazione non migliora nella carriera accademica. «Solo il 27% dei professori ordinari è di genere femminile – aggiunge Barbara Tavazzi, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia UniCamillus – e solo il 12% dei Rettori universitari è donna».
I numeri sono simili nella ricerca, come ricorda Adriana Albini, collaboratrice scientifica dello IEO nonché coordinatrice delle Top Italian Women Scientist di Fondazione ONDA – Osservatorio di Salute e di Genere. Albini afferma che «le donne che producono pubblicazioni nel campo della ricerca scientifica e che hanno possibilità di essere menzionate per questo merito sono meno del 20%. Occorre chiudere questa forbice e superare tali barriere».
Eppure spesso le donne medico sono preferite ai loro colleghi uomini. «Secondo uno studio pubblicato su JAMA nel 2002, i risultati migliori in quanto a comunicazione empatica col paziente, esaustività di risposte e gestione della sintomatologia, sono raggiunti dai medici donne – riporta Antonella Ciabattoni, docente del Corso di Laurea in Tecniche di Radiologia Medica UniCamillus, nonché Dirigente UOC di Radioterapia presso l’Ospedale S. Filippo Neri di Roma – Spesso un medico donna è più puntuale nelle risposte, più intuitivo rispetto ai bisogni del paziente e dedica più tempo alla visita».
Pazienti donne: stereotipi di genere ancora troppo presenti
Parlando invece di donne in quanto pazienti, tante sono le dinamiche per cui il genere diventa fondamentale in termini di prevenzione, diagnosi e cura. «Il tumore del colon retto, ad esempio, si esprime diversamente nell’uomo e nella donna – spiega Anna Maria Moretti, Presidente della Società Internazionale della Medicina di Genere (IGM) – Se nella donna si localizza prevalentemente nel colon ascendente con caratteristiche di tipo stenosante, nell’uomo si manifesta nel colon discendente con perdite di sangue. Va da sé che la ricerca di sangue occulto nelle feci, metodo diagnostico per eccellenza, è più indicativa per l’uomo». Ancora, si pensa che l’osteoporosi sia un problema tipicamente femminile, infatti «esistono dei LEA che prevedono per le donne l’accesso alla densitometria ossea, eppure negli uomini l’esito di una malattia osteoporotica è più frequentemente mortale».
Gli stereotipi di genere nelle patologie sono presenti anche in campo cardiologico. L’infarto del miocardio, infatti, viene attribuito più facilmente agli uomini, «e un marker di danno cardiaco sono i livelli di troponina nel sangue, che cambiano tra donna e uomo – sottolinea Cinzia Anna Maria Callà, Vice Coordinatrice del gruppo di studio di Medicina di Genere della SIPMeL e Presidente della sezione Roma Ephemeris Associazione Italiana Donne Medico – Eppure le donne, in gravidanza, sono più esposte a cardiopatie, ma non ne sono consapevoli, rischiando così di non affrontare una buona prevenzione in un periodo così delicato della propria vita».
Medicina di genere e donne medico
Consapevolezza necessaria a livello istituzionale
È proprio sulla consapevolezza che punta l’attenzione Donatella Padua, Delegata Terza Missione UniCamillus nonché docente di Sociologia. «Le donne hanno patologie diverse dagli uomini, rispondono diversamente ai farmaci. Ma pochissime di loro sono al corrente di ciò».
Tuttavia, questa consapevolezza dev’essere presente anche a livello politico e istituzionale, come asserisce Jessica Veronica Faroni, Manager Sanitario del Gruppo Istituto Neurotraumatologico (INI) Italiano e Membro dell’Associazione Coordinamento Ospedalità Privata (ACOP). Prestare attenzione alle differenze richiede un tempo di visita più esteso, tempo che non viene adeguatamente retribuito nel settore pubblico, facendo così ricorrere spesso alla sanità privata, e facendo rischiare che «la medicina personalizzata diventi appannaggio per ricchi».
Posizione conciliante ed equilibrata è stata quella di Antonella Vezzani, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Donne Medico (AIDM): «Per una medicina davvero efficace c’è bisogno di entrambe le componenti, maschili e femminili, soprattutto al vertice. È importante aiutare le donne a crescere nelle capacità di leadership perché in questo modo si possono rendere gli apici sanitari più forti ed equilibrati».
Rettore Gianni Profita
Entusiasta della riuscita dell’incontro il Rettore Gianni Profita: «Questo evento riflette il nostro impegno per la diversità e l'inclusione nel settore sanitario, e per promuovere una pratica medica più equa e sensibile al genere, garantendo come sempre la centralità del paziente».